Patrizia Lusoli, Anitya, è morta sei mesi fa e noi donne di Nondasola vorremmo raccontarla nel filo che la lega alla nostra storia. Anitya ha manifestato nella sua vita un legame profondo con il mondo delle donne. Già prima di conoscerci animava con il suo pensiero un gruppo di compagne intorno ai temi femminili e nei primi anni del duemila si rese disponibile a fare da babysitter a una bambina figlia di una ospite alla Casa delle donne. Partecipò quindi alla formazione per nuove volontarie e da volontaria cominciò il suo attivismo presso la Casa delle donne, diventando socia di Nondasola. Continuò il suo impegno come operatrice nell’Accoglienza delle donne maltrattate con le quali costruiva relazioni di vicinanza e di sostegno.
E le sue parole avevano il garbo della comprensione, perché sapeva ascoltare mossa dal desiderio della scoperta dell’altra da sé e dalla consapevolezza di cosa significa ‘essere in relazione’.
Mai avara di coinvolgimenti, s’impegnò insieme al gruppo di lavoro per la stesura della pubblicazione Dal silenzio alla parola. La violenza sofferta e il desiderio di fermarla, che ripercorre i primi 12 anni di attività della Casa delle Donne.
Accolse e mantenne per diversi anni l’incarico di responsabile dell’Accoglienza, riuscendo a coltivare buoni rapporti con le assistenti sociali e le altre agenzie del territorio e a relazionarsi alla sua equipe con tatto, riguardo e attenzione per tutte. Anitya riservava a bambine e bambini uno sguardo tenero e premuroso e la sua preoccupazione per la violenza assistita da loro patita si è tradotta in attivazione personale e partecipazione a laboratori per accompagnare madri e figl* in percorsi di rimessa in campo delle risorse che la violenza subita o assistita ha sopito ma non cancellato.
Anitya ci consegna una eredità di esperienza umana e culturale che diventa oggi un invito a tutte noi a continuare, dedicando tempo e spazio alla cura delle relazioni e continuerà, non solo idealmente, a difendere la libertà delle donne, di cui lei è stata fiera e indomita sostenitrice.
La cifra di 4.000 euro, raccolta grazie alle generose donazioni di familiari e amici/he, è stata infatti destinata al sostegno di quattro donne che si sono rivolte al Centro antiviolenza, coprendo le spese legali necessarie per avere giustizia e i costi imprevisti nel percorso difficile e coraggioso di autonomia e libertà. Nessuno ci risarcirà della sua perdita ma ognuna di noi, in particolare chi ha avuto il piacere di frequentarla e di lavorare con lei, porterà con sé un po’ della sua ‘intensa leggerezza’ che ritroviamo in questi versi: Io voglio invece leggerezza, libertà, comprensione – non trattenere nessuno, e che nessuno mi trattenga. Tutta la mia vita è una storia d’amore con la mia anima, con la città in cui vivo, con l’albero al bordo della strada, – con l’aria. E sono infinitamente felice. (Marina Cvetaeva)