Lo spettacolo “Treno 8017 Ultima fermata 3 marzo 1944” a Sant’Ilario d’Enza

Venerdì 12 luglio alle 21.30, a 80 anni dalla tragedia ferroviaria più grave avvenuta in Italia.

Un momento per ricordare la tragedia ferroviaria del 3 marzo 1944 a Balvano, in Basilicata. Si terrà venerdì 12 luglio 2024 a Sant’Ilario Enza, all’interno della Festa Dem ospitata dal parco San Rocco di Sant’Ilario d’Enza in via Montello 9. L’appuntamento è alle 21.30 allo spazio libreria, per un momento a ingresso gratuito.

L’iniziativa è promossa dall’Associazione Lucani di Reggio Emilia. L’evento è proposto in occasione degli 80 anni dalla tragedia ferroviaria più grave avvenuta in Italia. Si tratta del treno 8017 che si fermò nella Galleria “Delle Armi” a Balvano il 3 marzo 1944 e provocò la morte di oltre 600 persone tra padri, madri e bocche da sfamare. Il racconto storico teatrale è stato già rappresentato alle comunità Italiane di Bogotà (Colombia), Berna (Svizzera), Singen e Stoccarda (Germania).

Il racconto teatrale e la successiva proiezione del cortometraggio del film “Volevo solo vivere”, è ad ingresso gratuito ed è aperto a tutti.

Nel racconto teatrale, dove verranno descritte le storie di alcuni passeggeri del treno 8017, saranno proiettate anche foto e video dell’epoca intrecciate in una sequenza dei fatti che portarono alla tragica sciagura.

LA STORIA

Il 3 marzo 2024 ricorre l’80° anniversario della più grande strage ferroviaria verificatasi in Italia, con oltre 600 morti.

Nel 1944 a Balvano (PZ), nella galleria “Delle Armi” perirono 626 persone asfissiate nel sonno dal monossido di carbone più altre 16 persone dilaniate dal treno merci quando venne trainato dalla galleria.

Di questi 642 morti, circa 300 erano con divisa militare italiana, sbandati, e probabilmente in fuga dal centro nord dell’Italia che all’epoca era ancora sotto il dominio tedesco e fascista, mentre il sud era stato liberato dagli Alleati.

Gli altri passeggeri sul treno merci (erano oltre 700 viaggiatori stipati in 44 vagoni merci scoperti) erano madri, figli e uomini in cerca di cibo tramite il baratto che all’ora dalla Campania si faceva con le popolazioni contadine della Basilicata.

Le rigide normative applicate dagli Alleati non permettevano di svolgere nessuna attività lavorativa (per esempio, i pescatori sulla costa Campana non potevano mettere barche in mare per pescare e nutrire le proprie famiglie). 

Dei 642 morti, oltre 300 risultarono ignoti, circa 200 vennero prelevati dalle famiglie e 421 seppelliti in 4 fosse comuni nel cimitero di Balvano.

Nell’unico atto ufficiale dell’allora governo Badoglio, che tra l’altro operava in quel periodo a Salerno, vennero descritti i passeggeri come “passeggeri di frodo” (contrabbandieri) e la Commissione d’inchiesta sul caso attribuì la catastrofe ad una serie di concause sfortunate, tra cui il cattivo carbone Jugoslavo usato per le locomotive.

Non vennero identificati colpevoli e la vicenda cadde nell’oblio. 

L’Associazione dei Lucani di Reggio Emilia, di cui mi onoro essere presidente, per ricordare quell’evento, ha messo in scena un racconto teatrale con video e foto dell’epoca e reperito un’intervista fatta dieci anni fa ad Ugo Gentile che nel 1944 era Capostazione di Baragiano e Capo distretto del tratto ferroviario Battipaglia-Potenza; testimone chiave che dell’intero accaduto documentò tutto sulla tragedia, compreso il numero reale dei morti catalogato. 

Il racconto teatrale con immagini e foto dell’epoca, dura circa 30 minuti segue la visione del film “Volevo solo vivere” della durata di 28 minuti. 

Oggi crediamo non serva più trovare colpevoli e negligenze su quella vicenda, è doveroso però, riconoscere che gli oltre 700 passeggeri di quel treno merci NON ERANO VIAGGIATORI DI FRODO. Erano persone costrette a viaggiare, in condizioni sovrumane, anche sui treni merci di allora, per dare da mangiare ai propri figli barattando oggetti tenuti in casa in cambio di cibo.

Non vanno dimenticati neanche i circa 300 passeggeri con divisa militare italiana, sbandati (l’Italia era divisa in due e fuggivano dal centro nord della penisola che era ancora in mano ai fascisti e nazisti), ed intenti solo a raggiungere le proprie famiglie in Basilicata e Puglia.

In quel periodo si poteva morire:

  • nei campi di concentramento;
  • con una pallottola tedesca;
  • con uno scoppio di una bomba degli alleati;
  • per ribellarsi alla disumanità nazista e fascista;
  • per fame.

Tutti quei modi di morire avevano un valore differente: c’erano i carnefici e le vittime, c’era una causa e una ragione per morire; c’era una colpa ed una speranza.

Per i morti di Balvano non lasciamo che il valore della loro morte sia solo l’oblio e restino, come ha fatto la stampa dell’epoca, una delle tante carneficine che avvenivano in quel tempo ogni giorno.

Erano persone “iscritte al solo partito della fame”.