Stiamo attraversando giorni drammatici, siamo in guerra e uomini donne e bambini muoiono in Ucraina, le donne sono quelle più devastate da vessazioni e stupri.
Le donne dell’associazione Nondasola condannano la guerra in Europa ma vogliono tenere alta l’attenzione anche su un’altra strage che si consuma in spazi in apparenza protetti e sicuri. E’ quella che passa ogni due o tre giorni sui nostri dispositivi digitali, guardiamo distrattamente volti, leggiamo nomi e andiamo oltre e siamo spesso pronti a dire quanto era bella quella famiglia, come nel caso di Stefania che ha perso la vita assieme alla figlia sedicenne per mano del marito che ha ridotto in fin di vita anche il figlio maggiorenne.
Sono più prossime a noi in termini di distanza le donne di Frosinone, di Genova, e di Varese, vittime di femminicidio, in una manciata di giorni dal primo al quattro maggio. Si chiamano Alice Scagni, trucidata dal fratello, Romina di Cesare accoltellata dall’ex fidanzato e Stefania Pivetta e sua figlia Giulia.
Un massacro per il quale nessuno chiede la pace, vediamo e digeriamo tutto, perché ancora resiste dentro di noi una robusta difesa rispetto al metterci in gioco in prima persona.
Esiste una radice che accomuna saldamente la violenza sulle donne nelle relazioni di intimità e la violenza di guerra: è la volontà di dominio di un maschile che occupa lo spazio, privato e pubblico, della vita delle donne e di coloro che si oppongono a questa logica di sopraffazione. Riconoscerla è il primo passo per non chiamarci fuori, per interrogarci sui rapporti di disparità tra i sessi, su come uomini e donne li interiorizzano e li incorporano nelle proprie esistenze.
L’associazione Nondasola che da oltre vent’anni gestisce il Centro Antiviolenza in città e promuove azioni di sensibilizzazione e progetti di prevenzione nelle scuole ha ben chiaro come la violenza maschile sulle donne non è mai un gesto riducibile ad una dimensione solo individuale, non è mai unicamente la violenza di un uomo su una donna.
Noi continueremo a lavorare con ragazzi e ragazze, più grandi e più piccoli, perché la violenza maschile diventi innominabile al pari della guerra tra le grandi potenze, perché c’è una complicità evidente tra le due e rompere questa complicità significa operare in senso trasformativo.
Nello spazio della relazione maschile femminile è indispensabile partire da una rimozione del problema letto come estraneo alla nostra normalità, assumendo in prima persona una riflessione critica e una responsabilità non ulteriormente dilazionabile come ci suggerisce Filippo, 16 anni, durante un incontro di prevenzione a scuola: “durante gli incontri più stavo in ascolto più la mia testa faceva rumore quello che mi sembrava ovvio fino a quel momento diventava discutibile e quello di cui ero certo avevo in realtà bisogno di confrontarlo…sono stato un intero incontro in questo stato d’animo ma oggi ho deciso di parlare perché ho sentito tutto il silenzio che io mi porto dentro su questo tema.”