Nella notte tra domenica e lunedì Vanessa Zappalà, mentre camminava con alcuni amici ad Aci Trezza (Catania) è stata raggiunta dall’ex fidanzato, che ha estratto una pistola e le ha sparato addosso cinque colpi, di cui uno l’ha centrata alla testa, uccidendola sul colpo.
Vanessa aveva 26 anni, una vita intera davanti. E invece è diventata la vittima numero 41 (nel 2021) di femminicidio.
Mesi fa Vanessa aveva denunciato a più riprese l’uomo per stalking chiedendo e ottenendo anche per un breve periodo i domiciliari.
Ma quella domanda ogni volta ritorna identica: a cosa serve denunciare? A cosa serve ribellarsi, uscire allo scoperto, se lo Stato non riesce a difenderti e proteggerti? Quante donne devono continuare a trovare il coraggio di denunciare sapendo quello che si rischia? Come Nondasola, che gestisce un centroantiviolenza da oltre 20 anni, quotidianamente ci siamo perchè sappiamo che non è facile affrontare i numerosi ostacoli che si presentano per affermare il diritto alla libertà di vivere.
Nonostante la convinzione comune che per porre fine alle violenze sia sufficiente interrompere la relazione con l’uomo violento, le storie delle donne e i numerosi dati di ricerca mostrano che lasciare l’uomo violento non equivale sempre alla fine delle violenze. In Italia, secondo l’indagine nazionale Istat, le donne separate e divorziate subiscono violenza fisica o sessuale più spesso rispetto ad altre donne (51,4% vs 31,5%); la violenza di un ex partner è più severa rispetto a quella di un partner e la violenza percepita come molto seria quasi raddoppia (50,9% vs 28,3%) (Istat, 2014). La ricerca EURES e ANSA (2012) riportava che, in Italia, i 2/3 dei femminicidi si verificano nei tre mesi successivi alla rottura con un uomo violento. L’idea erronea che per porre fine alle violenze basti lasciare l’uomo violento nasce dal considerare la violenza alla stregua dei comuni conflitti di coppia, non considerando la disparità di potere insita nei contesti di violenza.
Una disparità non sempre considerata nella sua portata simbolica e reale a causa di pregiudizi e stereotipi sulle relazioni di intimità e sulle donne che inquinano l’esistenza femminile e rischiano di deformare la realtà della violenza maschile, lasciando le donne in balìa del partner maltrattante.
Essere nelle scuole, con ragazzi e ragazze, con la nostra attività di prevenzione vuol dire confrontarsi, ragionare, stanare i meccanismi che si producono e riproducono nel tempo per percorrere invece strade alternative.