Quindici pannelli che seguono una linea storica che va dalle persecuzioni prima del fascismo ai campi di concentramento e alla situazione successiva alla liberazione. Sono il cuore di “Omocausto, la persecuzione invisibile”, la mostra che ricorda l’olocausto di gay, lesbiche, bisex e transgender internate nei campi di concentramento nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale.
L’esposizione, organizzata da Arcigay Reggio Emilia in collaborazione con il Comune, raccoglie materiale proveniente dai Musei sull’Olocausto di Berlino e di Washington e verrà inaugurata nella sala civica di via Morandi 8, a fianco del municipio, in occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia. L’appuntamento è quindi per sabato 21 maggio alle 21, per il taglio del nastro seguito da una visita guidata. Interverranno il sindaco Nico Giberti, l’assessore alle Pari opportunità, Roberta Ibattici e il presidente di Arcigay Reggio Emilia, Alberto Nicolini. L’esposizione sarà visitabile fino al 5 giugno.
“Ancora una volta Albinea si rivela una comunità attenta alle minoranze. – afferma Nicolini – È con gratitudine che presenteremo la nostra nuova mostra sulle vittime LGBTI+ delle persecuzioni nazifasciste, che si conclude con uno sguardo a ciò che accade oggi, nella speranza che questo aiuti a allargare la comprensione della cittadinanza attraverso la grande empatia più volte dimostrata”.
La storia della strage delle persone gay, lesbiche, bisex e transgender nei campi di concentramento è spaventosa. Furono circa 14 mila coloro che furono internati. Di questi solo circa 4 mila sono sopravvissuti. L’obiettivo della mostra è offrire un breve percorso storico per tramandare la memoria di uno sterminio dimenticato. Nella Germania di Hitler gli atteggiamenti omosessuali erano regolati dal paragrafo 175 del Codice penale, “un atto sessuale innaturale commesso tra persone di sesso maschile o da esseri umani con animali è punibile con la prigione. Può essere imposta la pena accessoria della perdita dei diritti civili”. La norma fu abrogata solo diversi anni dopo la fine della guerra e furono molti gli ex deportati che non poterono richiedere un risarcimento allo Stato. In Italia la situazione era diversa, ma non migliore. Alla stesura del Codice penale la norma che prevedeva l’omosessualità come reato venne stralciata perché si diceva che “in Italia sono tutti maschi”.
Fu adottata la tecnica del silenzio, ma bastava essere indicati o etichettati da maldicenza o solo sospettati come omosessuali per essere mandati al confino.
Ancora oggi sono 78 i Paesi in cui è prevista la carcerazione per gli omosessuali e 5 quelli che prevedono la pena di morte. Sono invece 30 i Paesi che riconoscono le unioni omosessuali e 57 quelli che hanno leggi a tutela dei diritti delle persone omosessuali (dati 2012, Ilga).